martedì 14 luglio 2015

Uber Pop nuovo Stop dal Tribunale. Perché l'Italia li ha (legalmente) fermati in 10 punti.

Il Tribunale di Milano, ha emesso lo scorso 25 maggio un’ordinanza, con cui ha imposto uno stop ad Uber Pop sul territorio nazionale. Il 9 luglio inoltre ha respinto il reclamo presentato da Uber contro il provvedimento. Uno stop quindi definitivo per ora.
Ecco tutto quello che c'è da sapere in 10 punti. 


1) Al centro del mirino c'è il servizio Uber Pop. Si tratta di un’applicazione online che permette di contattare un autista Uber. In base alla sua disponibilità e alla geolocalizzazione, l’autista più prossimo si reca a prelevare l’utente per iniziare il trasporto in qualunque punto della città. Al contrario di altri servizi offerti da Uber, l’autista di Uber Pop utilizza la propria autovettura privata. Le tariffe sono più economiche rispetto a quelle di un taxi tradizionale e si paga mediante cellulare, con addebito sulla carta di credito registrata. In Italia, prima dell’ordinanza in questione, il servizio sarebbe stato disponibile in quattro città: Milano, Genova, Padova, Torino (a Roma con altri tipi di servizi, ma non Uber Pop). Perché i taxi (lobby d'eccellenza italiana) si sono infuriati?

2) Alcune società di radio taxi di Milano, Torino e Genova, ed alcune organizzazioni sindacali e associazioni di categoria hanno avviato una causa contro Uber, al fine di inibire, in via cautelare, il servizio Uber Pop in Italia. L’accusa è di concorrenzasleale ex art. 2598 n.3 codice civile (c.c.). Secondo i ricorrenti, Uber Pop permette di ottenere un servizio identico a quello pubblico offerto da un radio taxi, ossia da un taxi dotato dell’apparecchiatura che mette in comunicazione taxista ed utente anche a distanza. In breve, Uber Pop sarebbe un servizio taxi abusivo, dato che Uber non rispetta le regole di natura pubblicistica previste per il settore.
Le regole di natura pubblicistica si basano, in primo luogo, su requisiti soggettivi, cioè le qualità che gli operatori di trasporto pubblico non di linea devono possedere.
In secondo luogo, disciplinano le modalità di svolgimento del servizio stesso.
La conseguenza del mancato rispetto di tali regole da parte di Uber è il vantaggio concorrenziale all’interno del medesimo mercato: gli autisti di Uber Pop non sostengono determinati costi imposti, invece, ai tassisti regolari e, grazie a ciò, riescono ad offrire prezzi sensibilmente inferiori alle tariffe di quest’ultimi.


3) I tassisti, hanno agito in Tribunale in via cautelare, ossia chiedendo un procedimento d’urgenza ex art. 700 codice di procedura civile (c.p.c.). La ratio dei procedimenti cautelari risiede, infatti, nella necessità di celerità, volta ad evitare che durante il tempo necessario allo svolgimento di un processo in via ordinaria (cioè, semplificando, il normale svolgimento del processo), il diritto di cui si chiede tutela corra il rischio di venire pregiudicato in modo irreparabile.
I requisiti necessari per ottenere un provvedimenti d’urgenza sono due:
il periculum in mora, cioè il pericolo di pregiudizio al diritto a causa del ritardo nell’ottenere tutela in via ordinaria. Tale pregiudizio deve essere imminente e irreparabile (ex art. 700 c.p.c.);
il fumus boni iuris, ossia l’accertamento della sussistenza di un diritto in capo al ricorrente, sulla base di una cognizione semplificata. 
Il ricorso, depositato in data 20/3/2015, ha avuto come esito un’ordinanza emessa il 25/5/2015, quindi in soli due mesi. 

4) Periculum in mora secondo il giudice. Il periculum in mora, nel caso specifico, è stato individuato nel mancato guadagno dei tassisti durante il tempo del processo alla luce di particolari circostanze. Il giudice, infatti, rileva che «la prestazione del servizio contestato sia legata ad un fenomeno in rapida evoluzione e rispetto al quale le società resistenti hanno programmato un’imminente ulteriore estensione ad altre città italiane» (punto 8 dell' ordinanza*). Il servizio Uber Pop è stato infatti lanciato in Italia da circa un anno, con crescente successo, a cui hanno contribuito l’eccezionale capacità di diffusione del web e l’intensa promozione del servizio. Tali motivi rendono «attuale e sussistente la necessità di provvedere in via d’urgenza in quanto gli effetti pregiudizievoli nel settore – ove si attendesse l’esito di una causa di merito – risulterebbero non compiutamente risarcibili in termini esclusivamente pecuniari» (punto 8*).
Il giudice rileva inoltre la peculiare e stringente attualità di tale pregiudizio legata all’Expo 2015, dal momento che, in occasione di detta manifestazione, sono attesi un numero elevato di visitatori. Se è vero che ciò interessa direttamente la sola città di Milano, tuttavia il potenziale attrattivo di Expo 2015 appare suscettibile di ampliare «l’afflusso turistico in altre città italiane tra le quali anche quelle ove operano parte degli odierni ricorrenti» (punto 8*).

5) La posizione di Uber. Le società del gruppo Uber si sono difese invocando l’autonomia negoziale ex art. 1322 c.c., sostenendo la libertà da parte dell’ utente e del conducente Uber di stipulare un contratto. Inoltre, secondo loro, non si tratta di un servizio di trasporto pubblico e perciò non sono violate le norme pubblicistiche. Hanno poi presentato un’interpretazione dell’art. 2598 c.c. alla luce dell’art. 41 della Costituzione, ossia facendo riferimento alla libertà di iniziativa economica  e all’interesse della collettività, anche in lettura conforme coi principi antitrust, che si oppongono a monopoli e a forme anticoncorrenziali. Da ultimo, hanno affermato che i principi del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea relativi alla libertà di stabilimento delle imprese, alla libera prestazione servizi e alla concorrenza imporrebbero una ricostruzione evolutiva del quadro normativo nazionale.

6) Il giudice non ha ritenuto di accogliere gli argomenti presentati da Uber. L’attuale quadro normativo italiano è chiaro: alla luce degli artt. 2 L. 21/92, degli artt. 82 e 86 C.d.S., nonché dei singoli regolamenti comunali relativi al servizio taxi, è impossibile che un servizio analogo possa esser svolto da un soggetto privo di licenza. L’autista che svolge il servizio di trasporto urbano non di linea senza licenza pone in essere una condotta materiale vietata dal Codice della Strada e dalla normativa statale, regionale e comunale che regola i servizi pubblici locali non di linea.

Secondo il giudice,  il controllo sull’accesso al mercato dei servizi pubblici non di linea non confligge con i principi di libera concorrenza, neanche a livello di diritto dell’Unione europea. L’art. 41 Cost. prevede infatti che la libera iniziativa economica privata possa essere oggetto di regolazione ed indirizzo (comma 2).

7) La differenza tra car sharing (lecito) e UBER POP (illecito). Le società resistenti avevano anche sostenuto che Uber Pop costituisce «espressione della nuova concezione di utilizzazione dell’autovettura in maniera condivisa, al fine di abbattere i costi di impiego dell’auto privata» (punto 6*). Il giudice tuttavia nega che Uber Pop possa paragonarsi ad altre forme lecite di condivisione di trasporto su strada, come il car sharing.
Il car sharing presuppone che l’autista abbia un suo percorso personale da svolgere, per un interesse proprio e che «in genere le quote richieste ai partecipanti si riducono alla divisione del prezzo della benzina e dei pedaggi autostradali» (punto 6*). Pertanto non si tratta di un uso del veicolo nell’interesse dei terzi con conseguente inapplicabilità delle sanzioni previste dall’art. 82 C.d.S.
Nel servizio Uber Pop, invece, «l’autista non ha un interesse personale a raggiungere il luogo indicato dall’utente e, in assenza di richiesta, non darebbe luogo a tale spostamento» (punto 6*).

8) L’ultima tappa della vicenda: Uber perde anche il reclamo. Avverso l’ordinanza del giudice monocratico, Uber ha proposto reclamo, che, in base all’art. 669 terdecies c.p.c., viene rivolto allo stesso Tribunale, ma in composizione collegiale e senza la presenza del giudice che si era precedentemente pronunciato sul medesimo caso. Il 9 luglio, il collegio ha però respinto il reclamo.
Ecco la nuova ordinanza. Inoltre alla legge 21/1992 è stata proposta una modifica, che prevederebbe l'aggiunta dell'articolo 3bis che intende disciplinare i serivizi come Uber Pop e invoca espliciti requisiti da seguire per poter essere legali (ecco i punti della modifica all'articolo 3)
Leggendoli è facile capire quanto il servizio Uber Pop per come è concepito farebbe molta fatica ad adeguarsi ma sarebbe un primo passo verso l'apertura.

9) Non finisce qui. Di certo la vicenda non è destinata ad esaurirsi qui. In base all’ordinamento giuridico italiano attuale, Uber Pop è dunque un servizio abusivo. Per renderlo “legale” servirebbe probabilmente la predisposizione di nuove norme. Le associazioni dei taxi rimangono sul piede di guerra e Uber, d’altra parte, non sembra disposto ad arrendersi. La questione è complessa e coinvolge numerose considerazioni. Se però Uber rappresenta veramente il nuovo che avanza, sarà difficile fermarlo.
 
10) Chi stiamo proteggendo? La legge è chiara ed è chiaro anche lo stop. Detto questo, i taxi rappresentano una categoria protetta e fin troppo tutelata a mio avviso. Uber Pop funziona in tantissimi paesi e da noi no. La concorrenza in settori come quelli del trasporto pubblico migliora i servizi e i prezzi, esattamente come è successo per Trenitalia e Italo, i treni son migliorati e i costi pure. Quanto ci metterà la legge italiana ad adeguarsi affinché anche noi italiani potremmo usufruire di UberPop? Staremo a vedere.
* i punti specificati si riferiscono alla prima ordinanza emessa. 
di Anna Ferrari & Simona Gaudiosi

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