venerdì 24 luglio 2015

Come Google manipola le nostre vite: cos'è il fenomeno Filter Bubble.

Lo usiamo tutti per fare di tutto. Oltre alle classica barra delle ricerce, abbiamo gmail, il calendar, youtube. I più esperti usano anche google libri, blogger e chi più ne ha più ne metta.
Google non sta su internet ma è internet per la maggioranza di noi.
Eppure l'algoritmo perfetto che ha saputo monopolizzare il mercato dei motori di ricerca è un gigante tutt'altro che buono.


Ma andiamo con ordine.
Anni fa Google non era altro che un motore di ricerca che ordinava i risultati in maniera più efficiente di altri, mettendo al primo posto effettivamente le pagine più rilevanti. Il meccanismo con cui Google "sceglie" le pagine più rilevanti è una somma di quante volte quel sito è stato citato da altri, una sorta di legittimazione del web, più viene citato più Google lo ritiene rilevante. In effetti questo meccanismo ha permesso all'algoritmo di funzionare con ottimi risultati.
Poi è arrivata la pubblicità. 
Il piccolo sito, gestito dai talentuosi nerd californiani, si è trasformato in un colosso mondiale e quindi per sostenere il sistema, interamente gratuito, ha cominciato a finanziarsi con la pubblicità.
Google ha comunicato a vendere spazi pubblicitari e a far apparire alcune pubblicità in calce alle ricerche di ogni utente. Fin qui nulla di male, le pubblicità sono chiaramente segnalate e non interferiscono con la lista di link "neutri" subito sotto.
Ma è più efficace una pubblicità proposta a tutti indistintamente o targetizzata sui desideri e le particolarità del singolo utente?
Qui entra in gioco il fenomeno Filter Bubble.
Questo termine si riferisce all' isolamento intellettuale che può verificarsi quando i siti web fanno uso di algoritmi per assumere selettivamente le informazioni che un utente vorrebbe vedere, e poi dare le informazioni per l'utente in base a questa ipotesi
Vuol dire che tutte le ricerche che noi svolgiamo sulla barra di Google vengono memorizzate ed elaborate per far si che la prossima volta la nostra ricerca sia più efficiente per i nostri interessi. Se ad esempio cerchiamo spesso siti di viaggio, alla decima volta Google ci farà apparire una serie di siti specializzati in viaggi in maniera diversa da un utente che cerca più spesso un altro argomento.
Se provate a scrivere una parola di ricerca su Google su due computer differenti noterete che la lista di link e la configurazione della pagina dei risultati sono diverse. Tanto o poco diverse dipende dalla vostra posizione geografica e dalla tipologia di ricerca (ma qui entriamo in argomenti troppo tecnici che fatico a capire). 

La personalizzazione delle ricerche ha quindi due effetti:
1- Quello di fornire a noi utenti una pre-selezione di argomenti che ci vengono proposti, che ci impedisce di avere una visione oggettiva della realtà.  Una bolla di filtro, di conseguenza, può causare il mancato contatto con i punti di vista contraddittori. Un esempio che Eli Palisier fece nel suo intervento nel 2011 è quello dei risultati di ricerca per Egitto. Da un computer occidentale apparivano una varietà di risultati tra turistici e politici, da un computer egiziano non c'era menzione delle proteste politiche e gli scontri.
2 - L'altro è un effetto pubblicitario. Il motore di ricerca ha tutto l'interesse a farci apparire risultati "filtrati" nella direzione dei nostri gusti, per poter vendere più facilmente le relative pubblicità. Quindi più Google conosce le nostre preferenze

Il fenomeno non riguarda solo Google
Una serie di aziende operanti sul web come Facebook, il NewYorkTimes, il Washington Post, Amazon si stanno muovendo nella direzione della personalizzazione. Tutti in qualche modo registrano le nostre preferenze, i nostri link più cliccati, i gruppi a cui aderiamo e le ricerche che salviamo.
Questo vuol dire che ci stiamo avvicinando ad un mondo dove Internet ci mostrerà sempre di più quello che pensa noi vogliamo vedere.
Questa montagna di filtri fa si che ognuno di noi vive in una personalissima bolla di informazioni appositamente proposte per le nostre esigenze che si costruisce in base a chi siamo e cosa facciamo.
Il punto è che non possiamo controllare cosa entra nella nostra bolla, visto che sono degli algoritmi che lo fanno per noi, ma ancor più grave non possiamo sapere cosa ne resta fuori.

Il mito della libertà di Internet sfuma
Prima dell'avvento del WordWildWeb esistevano enormi filtri alle informazioni, dettate dagli editori e dai proprietari dei media che in qualche modo sceglievano per il grande pubblico cosa mostrare e cosa no di quello che accadeva nel mondo.
Internet sembra aver aperto questi cancelli, reperire le informazioni oggi è facile e senza limiti editoriali, ma i filtri esistono ancora l'unica differenza è che  non sono più fatti da persone fisiche ma da algoritmi.
Quanto eticamente corretti possono essere gli algoritmi rispetto all'essere umano? 
La variabile emozionale dei filtri, che oggi sono formule matematiche, cosa fa entrare e cosa fa uscire dalla nostra bolla?

Fa paura ma è giusto sapere che funziona così.


Vi consiglio di guardare i 9 minuti in cui Eli Palisier per la prima volta ha spiegato questo fenomeno.








 


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