di Anna Ferrari

Proprio in questo
contesto, JEF – Junge
Europäische Föderalisten Deutschland, la Gioventù Federalista
Europea, sezione Germania, ha allestito un seminario internazionale a Berlino,
dedicandolo alla “Solidarietà in Europa”.
JEF è un’organizzazione giovanile
transnazionale, legata al Movimento Federalista Europeo, che promuove
un’integrazione europea sempre più profonda. Mesi fa ho visto l’annuncio sulla
pagina facebook della sezione italiana e, pur non essendo membro, ma spinta dalla
curiosità, ho deciso di mandare la candidatura. In breve, mi sono trovata a far
parte di più di sessanta ragazzi che dal 14 al 17 maggio hanno fatto rotta
sulla capitale tedesca per l’International
Berlin Seminar 2015, presso la Tagungshaus Alte Feuerwache. I
partecipanti avevano un’età compresa tra i sedici e i trentun anni, provenienti
da diciannove Paesi europei, sia Stati membri dell’Unione europea, sia Stati
che desidererebbero aderire, come quelli balcanici e la Turchia. Insieme siamo
salpati a bordo del battello a vapore federalista, metafora di questa edizione
del seminario.
Ha fatto da sfondo alla nostra avventura europea una città estremamente
significativa perché Berlino, con la sua storia di guerra, divisioni e riunificazione
recente, rappresenta senza dubbio una grande inspirazione per ogni giovane che
crede in un’Europa unita.
Il seminario si è aperto
con un dibattito collettivo relativo ai temi europei più sensibili. Da lì siamo
passati ad occuparci della solidarietà, declinabile in molteplici settori: la
crisi economica, la crisi sociale, la politica dell’immigrazione, la politica
estera e di sicurezza comune, l’allargamento e i rapporti con gli Stati vicini,
i valori europei fondamentali. Questi argomenti sono stati introdotti durante
il World Café, momento in cui, tazza di caffè e biscotti alla mano, abbiamo
potuto sedere al tavolo con alcuni esperti e confrontarci. I lavori sono proseguiti
nei workshop, dopo esserci divisi in
piccoli gruppi scegliendo il tema di maggior interesse per ciascuno. Il mio era
dedicato alla crisi economica.
Dopo aver condiviso le rispettive conoscenze ed esperienze,
abbiamo disegnato un’utopistica “Happiness
Island”: lì il debito sovrano non cresce, corruzione e frode sono
inesistenti, ci sono gli eurobond e stessi standard economici e sociali, c’è
rispetto dei diritti umani ed elevati standard sociali per tutti, nessuna
disparità di stipendio tra uomini e donne, medesima tassazione nell’Ue, piena
occupazione. Le soluzioni concrete sono state presentate, come una mappa per
arrivare all’isola del tesoro, nella seduta comune conclusiva insieme ai
risultati degli altri workshop.
Dall’altra parte, però, non sono mancate le
osservazioni di chi, cittadino di Stati più benestanti, è preoccupato di
trovarsi a pagare debiti per quelli meno virtuosi. Il discorso si è fatto
particolarmente rovente anche sulla questione dell’immigrazione nonché sul
referendum relativo al Brexit.
Non poche
volte si è visto qualcuno dei partecipanti cambiare opinione, fosse anche solo
parzialmente, dopo aver ascoltato l’intervento degli altri.
Argomenti così complessi sono
stati stemperati da momenti più leggeri, il
Rallye, una street action divisi a
squadre. Partiti da un luogo significativo come la East Side
Gallery del muro di Berlino e muniti di cartina con l’obiettivo di visitare più
posti possibili, ci siamo mescolati a cittadini e turisti indossando cappelli
da marinaio, bandiere dell’Unione europea e barchette di carta. Via
di corsa, dunque, attraverso Alexander Platz, Unter den Linden, Brandeburger
Tor, il Bundestag, Potsdamer Platz...
È stato entusiasmante
fare parte di questi giovani che ritengono fondamentale interessarsi in prima
persona perché il futuro, in fondo, saremo noi a viverlo. Giovani che hanno voglia
di stare insieme e mettersi in gioco, seppur, a volte, con una buona dose di
idealismo tipica dell’età; che non hanno vergogna di mettersi a cantare in
strada l’inno alla gioia di Beethoven, diventato l’inno dell’Unione europea. L’inglese,
mezzo di comunicazione comune, si è presto mescolato ai suoni di decine di
altre lingue.
Al termine dei quattro giorni di lavoro, abbiamo trovato
una risposta, fosse anche solo parziale, alla domanda iniziale. Un giovane può
credere nell’Unione europea nel momento in cui sente lo spirito di fratellanza
che ci accomuna. L’identità europea forse esiste prima di tutto nel desiderio
stesso di appartenenza, nel cercare le affinità più che ciò che ci divide. Di
certo, non si può pensare di essere uniti nella diversità, se non si sarà uniti
anche nella solidarietà.
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